Da Rendinara al Monte Ginepro

...ovvero 1000 metri di dislivello in soli 2 Km. Ed una meravigliosa vista del monte Circeo e del mar Tirreno


Quelli bravi inizierebbero sbrodolando dati, dislivelli, km percorsi, tracce GPS e via così, arricchendo di dettagli tecnici l’escursione. Quello che c’è da dire dal punto di vista tecnico è che si tratta di una escursione mediamente lunga, quasi 8 ore, circa 11 km, impegnativa per un dislivello che si supera tutto d’un fiato, non eccessivo con i suoi 1100 metri, ma che si coprono quasi interamente nei primi due km di ascesa. In inverno, e comunque in questa escursione che vado a raccontare, oltre i 1600 metri aumentano le difficoltà per riconoscere il sentiero, la neve copre molte volte i pur tanti segnali del CAI, non sempre è evidentissimo ed un po’ di esperienza non guasta. Nonostante il versante sia molto ripido il sentiero rimane sempre facile e privo di difficoltà tecniche, un po’ di attenzione in un paio di incroci per fare la giusta scelta di direzione serve; esperienza ne potrebbe servire invece se l’escursione viene fatta in inverno pieno, nei tratti di uscita in cresta e quando si imbocca la discesa della stessa qualche chilometro più giù, nel caso ci siano di grossi accumuli nevosi o presenza di cornici. Quello che invece mi piace più raccontare e mettere in evidenza è una escursione che è nata in sordina e che al contrario mi ha entusiasmato perché è stata capace di sorprendermi. Lo sappiamo, ci piace andare per montagne, tutte le montagne sanno farci qualche regalo, a volte ci esaltiamo, a volte torniamo raccogliendo qualche emozione in meno; qualche volta ci aspettiamo poco e nonostante questo andiamo lo stesso per conoscere e in questo stato d’animo mi ero messo quando con Marina abbiamo pensato al monte Ginepro. Un week end bestiale, il secondo di Dicembre, pioggia, pioggia e ancora pioggia, e si che si erano fatti bei progetti (il Pollino) per sfruttare a pieno il “ponte” festivo dell’8 Dicembre; ma è stato che durante la Domenica, consultando siti meteo come disperati in cerca solo di una speranza, si è palesata la classica finestra tra una perturbazione e l’altra. Dalla nottata della Domenica e fino alla metà del Lunedì 8 Dicembre si potevano trovare “isole” di bel tempo; non dappertutto, ma è bastato uno studio adeguato per individuare le montagne dei Cantari come quelle che potevano dare maggiore garanzia se non di bel tempo almeno di condizioni utili per fare una bella escursione. Gli Ernici erano lì vicino, avevo calcato quelle creste molto tempo fa, era ora di tornarci. Un occhio ai vari siti per verificare ancora più nel dettaglio le condizioni meteo, Morino, Balsorano erano le località più vicine al progetto che andava prendendo forma nella mia mente. Confermate le premesse del meteo espongo la mia idea: il monte Ginepro da Rendinara, il monte Ginepro e tutta la cresta fino al Pizzo Deta. Marina è entusiasta, nuove montagne, sentieri mai calcati, nuovi panorami, non la smonto nemmeno quando provo a parlargli del primo tratto del sentiero, in circa soli due chilometri saliremo di quasi 1000 metri di dislivello. Prendi la carta, fammi vedere il sentiero, mi ha detto, dopo cinque minuti stava già preparando lo zaino. La mattina successiva il cielo all’alba è sereno, il parabrezza dell’auto è ghiacciato, benedico in silenzio la decisione di aver messo i ramponi dentro lo zaino, insomma la giornata inizia secondo i migliori presupposti per una bella escursione invernale. Passiamo per Sora, prendiamo la superstrada per Avezzano, dopo Balsorano, località Le Roscie usciamo e raggiungiamo Rendinara dopo una serie interminabile di tornanti. Attraversiamo il piccolo borgo, la stretta lunga strada principale fino ad uscire dalla parte opposta, già in vista del Vallone del Rio. Un piccolo parcheggio e due tettoie in legno con carte e foto sbiadite, una sbarra aperta e dopo pochi metri un simbolo CAI, è l’inizio della carrareccia del Vallone del Rio, il sentiero n° 13. Lo seguiamo per poco meno di un chilometro, fino alla fonte Pretestretta, 1020 metri, subito dopo una presa idrica ha acqua in esubero che riversa all’interno del fosso; di fronte scendendo dentro il fosso stesso inizia il sentiero 14, oltre il guado del Rio il sentiero è più evidente e su una pietra è pitturata di fresco la bandierina bianco rossa del CAI, non è riportato invece il riferimento numerico del sentiero. E’ breve il tratto che sale lento, da prima su una dorsale che domina la valle e poi all’interno del bosco; breve, prima che si inerpichi, quel che basta per trovarsi le creste a perpendicolo sopra la testa. Lo sbocco del sentiero, ci diciamo prima di entrare nel fitto degli alberi, è lassù, da qualche parte oltre al bosco, tra quel dedalo di pareti, valli e creste, confuse da un fittissimo bosco che copre tutto, ci chiediamo se davvero lì in mezzo c’è un sentiero che sale fino in cima. Stiamo per entrare nel bosco, su un masso, la prima indicazione importante da non perdere; il sentiero sembra proseguire diritto, la traccia è battuta chiaramente, una freccia ci sposta verso destra, ci fa abbandonare quello che sembra il sentiero più logico. Da lì in poi è bosco, fitto, spoglio, il sentiero è a tratti ampio, altri tratti meno, quasi sempre è ben intuibile e ben segnalato, ininterrottamente è ricoperto di un folto strato di foglie arrugginite. Velocemente cresce la pendenza e a parte poche e piccole svolte sale di traverso costeggiando la montagna verso Nord-Ovest, fino ad un secondo masso, più grosso del primo, più importante del primo; una freccia con indicazione “Lota” indica perentoriamente il sentiero, in questo punto meno evidente, che vira verso Sud-Ovest. Da lì in poi avanza per la stessa direzione senza più repentini cambi, ogni tanto una radura permette di valutare quanto si sale velocemente ed offre begli scorci su Rendinara e la valle Roveto più sotto ancora. Il bosco è fantastico, silenzioso, sulla destra le pareti diventano ben presto ripide ed incombenti, la sensazione di essere soli è assoluta. Dal basso avevamo notato le creste ed il bosco imbiancati, solo intorno ai 1600 metri le prime tracce di neve iniziano a scricchiolare tra le foglie che calpestiamo, saliamo di soli altri 100 metri e il bosco diventa un giardino incantato. I rami spogli degli alberi sembrano sottili fili di un ricamo, anche il sentiero si copre di un soffice manto di neve; è una nevicata non recentissima, forse del giorno prima, forse poco di più, ma tutto è stato fermato dal freddo pungente che in questi anfratti, sempre in ombra, riesce certo a congelare il paesaggio. Oltre i 1700 metri diventa difficile distinguere il sentiero, i segnali sono per lo più coperti, il percorso è una sensazione dettata dalla sottile apertura tra gli alberi; il fascino del giardino di cristallo e l’incertezza nell’individuare il sentiero rende questo tratto del percorso affascinante e magico, ci divertiamo come matti a fare i piccoli esploratori e a lasciarci trasportare dalla poesia che inevitabilmente scaturisce dalle immagini che ci passano davanti agli occhi. Meno di un’ora dura il passaggio nel giardino incantato, solo in un punto abbiamo trovato qualche difficoltà a causa delle bandierine sepolte e sparite sotto dieci centimetri di neve, difficile da descrivere ma comunque intuitive le scelte; il sentiero non è evidente, confuso tra roccette arrotondate e sporgenti, abbiamo da poco superato un meraviglioso tratto scoperto che permette un affaccio sulla profonda valle sottostante boscosa e di bianco vestita, sulla testa del vallone del Rio fino al Pizzo Deta e sulla piramide quasi sommitale del monte Ginepro da dove spunta la bella croce visibile, se la mattina in partenza guardavamo con più attenzione, già da Rendinara; il sentiero sembra perdersi. Di fronte, una breve radura confusa tra rocce ed un rado bosco, non da segni di un percorso aperto, termina sotto troppo ripide pareti che preannunciano già la cresta, ci guardiamo un po’ intorno, l’esperienza detta di proseguire a sinistra dentro una valletta in leggera salita dove i raggi del sole che entrano di traverso offrono, sugli alberi posti a cavallo di una rocciosa crestina, un’entusiasmante controluce. Qua e la, sulle rocce più evidenti, spolvero la neve fin quando non trovo segnali del CAI; l’esperienza in questi ambienti è davvero un bell’aiuto. Dentro la valletta incastrata tra il bosco e la crestina controluce continua il sentiero; attenzione però, nel bel mezzo, ci si finisce inevitabilmente, scorre una sorta di vena, forse in certe stagioni un piccolo ruscello. La neve ci ha impedito di accorgercene e solo quando siamo sprofondati fino alle caviglie, in una sorta di palude melmosa, ci siamo dovuti inventare passaggi nuovi. Semplici in fondo, perché il sentiero costeggia la roccia sulla destra, il problema era vederli i pochi segnali sepolti. Insomma, inzaccherati fino alle caviglie superiamo questo tratto e per un attimo ci riaffacciamo finalmente al sole. Uno sperone in mezzo agli alberi panoramicissimo, stesso panorama precedente ma più vicino alle creste, alla croce del Ginepro, il bosco incastrato nella valle ora ancora più stretta e selvaggia ha un pallore irreale; i grigi rami dei faggi spogli sostengono i sottili ricami nevosi e come in una tavolozza di un pittore il risultato finale sono indicibili screziature di grigi, o di bianchi, dipende dallo stato d’animo di chi guarda. Inutile dire che si rimane ipnotizzati da quest’insolita prospettiva. Ormai le magie stanno per finire, di certo per lasciare spazio ad altre nuove. Il sentiero appiana, diventa ben marcato ed oltre il leggero tunnel di alberi scorgiamo luce, la testa della valle e la cresta. Finalmente al sole, un sole caldo e piacevole che muta immediatamente le condizioni che avevamo intorno, lo andiamo a cercare con bramosia non prima però di fermarci un attimo e riguardare indietro quel bosco magico. La salita in cresta è intuitiva, l’esposizione al sole aveva ridotto la neve a niente o a poche macchie, usciamo poco prima della croce, in una piccola piana concava, questa si colma di neve, che tra roccette e panorami verso i Cantari, ospita un piccolo laghetto da scongelamento. Lo avevo detto… non sapevo quali ma le avremmo incontrate altre viste entusiasmanti, sulle carte questo tratto di cresta è segnalata come Le Lote. Continuando verso Sud la mole del Ginepro è a venti minuti, un versante, quello verso Ovest, che scivola via piatto, con una pendenza costante e che culmina in alto in una serie di salti successivi delimitati dalla cresta che verso Est precipita verso valle e verso il bosco. Raggiungiamo il filo di cresta, quando ci affacciamo la testa del vallone del Rio è un bellissimo panorama, racchiuso verso Est dalla rava della Guardia culmina col la piramide del Pratillo prima e subito dopo del Pizzo Deta, la galaverna che ha formato improbabili piccole sculture sui pochi affioranti steli d’erba fornisce il tema per incorniciare degnamente l’immenso panorama. Mentre saliamo l’ultimo tratto dello spigolo, l’omino di vetta del Ginepro è già a vista, l’occhio mi va sull’orizzonte verso ovest. Le montagne più basse sono un trampolino verso linee lontane, sbiadite nella foschia ma comunque familiari. Stranamente familiari, rimugino nella memoria e cerco i motivi di tanta familiarità… non può essere quello che mi viene in mente… guardo meglio ed una distesa rosa poco più a Sud di quelle linee familiari mi confermano quella che pensavo fosse una mia desiderata fantasia. Si riusciva a vedere fino al monte Circeo, dietro ancora meno dettagliate linee dovevano essere le isole pontine e quella distesa rosata luccicante il mare. Era la prima volta che riuscivo a vedere il Tirreno dalle montagne del centro Italia, sapevo che da Viglio ci si riusciva, a me non era mai capitato, ora invece si. Siamo rimasti ammutoliti, in silenzio, quasi in contemplazione, un bel momento; la lunga lingua del vallone del Rio, che confluisce nella più lontana, più grande val Roveto, il Velino lontano e poi il Viglio come al solito incappucciato nelle sue nuvole, tutti i Cantari appena innevati e alla fine le montagne che non conosco, più basse, e lontano il mare, il monte Circeo. Chi ama stare all’aria aperta sulle montagne sa cosa si prova in quei momenti; impagabili momenti. La classica sosta in vetta non ce la toglie nessuno, con una vista del genere chi pensa a togliere le tende? Uno snack, le solite infinite foto fin tanto che così, dal nulla, iniziano a salire nuvole dal vallone del Rio. I moti convettivi dell’aria sono affascinanti, come si formano le nebbie e le nubi, per quante informazioni abbia raccolto mi rimangono sempre argomento ostico; la fisica e la chimica spiegano tutto ma come fai a non porti domande quando vedi una valle sotto completamente sgombra e dalle sue sponde, dal filo di cresta, uscire vorticosi fiotti di grigie nuvole? Come sempre è bello vedere questi fenomeni della natura, è bello assistere alla forza e mutevolezza degli elementi; poi ti confronti con te stesso e con quanto rimane da fare ed inizi a metterti fretta. Verso sud il vallone del Brecciaio sprofondava di più di cento metri, altri centocinquanta ne servivano per risalire fino al monte del Passeggio e alla cresta del Fragara. Non parliamo del Pizzo Deta che, anche lui ormai in lotta con i pennacchi di nuvole vorticosi, sembrava ora più lontano. Mettila come ti pare, le condizioni stavano cambiando rapidamente, le lancette dell’orologio erano avanzate ancor più rapidamente, c’è voluto poco a capire che era necessario tagliare l’escursione e rimandare il versante Sud degli Ernici ad altra occasione. E come sempre accade, le decisioni, una volta prese, portano serenità; improvvisamente il tempo si è dilatato avevamo il pomeriggio per goderci gli Ernici. Scendiamo lungo la cresta verso Sud, si abbassa rapidamente fino a diventare più sottile, fino a dominare l’ampia piana del Brecciaio ed il suo fosso, ed è qui, nel tratto più sottile, mentre mi giro per controllare il fronte nebbioso mi capita di scorgere, ed è la seconda volta nella mia breve storia montanara, uno spettro di Broken. Ben formato, abbastanza visibile, mi era capitato di vederlo sul Pollino, un fenomeno raro da vedere, quando nebbie poco persistenti vengono attraversate da bassi raggi del sole la nostra lunga ombra viene a trovarsi e provoca nello stesso momento, al centro di una rifrazione circolare, un arcobaleno rotondo insomma, con la nostra testa esattamente al suo cento; lo considero un autentico regalo che gli Ernici mi hanno voluto fare. Dove ancor più sottile si fa la cresta un breve e ripido canalino permette di scendere tra le rocce e di portarsi al limitare della piana. Il canalino è esposto magnificamente, il sole lo colpisce diretto ed è riparato anche dal leggero venticello che viene da Est; il punto ideale per fermarsi ancora un momento e godersi la valle, il versante opposto della lunga candida dorsale del monte Fragara, e gli sbuffi delle nebbie che salgono dalla sella sottostante. A tratti il mondo tangibile si restringe , poi tutto si riapre, veloci le nuvole sottili si inseguono e spariscono, laggiù in fondo il mare rimanda ancora i suoi riflessi dorati. Al calduccio di quel cantuccio mai ci si sarebbe mossi, ma si sa, i momenti più belli sono quelli che sembrano sempre i più corti, si faceva rapidamente l’ora del ritorno. Non rimaneva che scendere sull’ampia sella sotto il monte Brecciaio, sulle carte la depressione tra il monte Ginepro ed il monte del Passeggio. La cresta della sella ad Est precipita minacciosa nella valle sottostante, è tagliata di netto, mentre sono sullo spigolo Sud del Ginepro che la domina dall’alto non riesco a percepire il punto in cui si può scendere sotto, per di più la testa della valle sottostante è all’ombra, temo presenza di ghiaccio, per fortuna i ramponi sono nel fondo dello zaino. La attraversiamo tutta la sella, fin sotto il monte Brecciaio, dove su una grossa roccia è ben evidente l’indicazione per Rendinara, sentiero 17, lo stesso che attraversa il gruppo montuoso provenendo da Prato di Campoli. Una taglio della cresta in pratica, l’unico che permette di scendere dentro la valle senza dover possedere doti alpinistiche; il primo tratto di sentiero in discesa è quasi un canalino, anche ripido, colmo di neve per fortuna non ghiacciata; una serie di serpentine si susseguono una all’altra e permettono di guadagnare facilmente pendenze più abbordabili. In condizioni come quelle che abbiamo trovato è un tratto di percorso facile; ritornando ai concetti già espressi, in pieno inverno, cornici in cresta che in alcuni tratti è verticale sopra al sentiero, la presenza di ghiaccio e le pendenze accentuate potrebbero rappresentare più di un problema da prendere davvero con molta molta attenzione. Una volta presa la valle delle Fosse Fracasse si rientra nel bosco. Prima rado e poi sempre più fitto, sempre ben segnalato il percorso con frequenti bandierine bianco-rosse. Si ripete la stessa scena del tratto iniziale di questa escursione, il bosco nella parte alta che è un giardino di cristallo, questa volta guardandosi indietro c’è anche un magnifico colpo d’occhio sulla testa della valle e sui costoni che precipitano ripidi; intorno ai 1700 metri la neve inizia a sparire lasciando un folto strato di foglie arrugginite e scricchiolanti; intorno ai 1700 metri la valle inizia anche a scendere velocemente, le pendenze aumentano. Il bosco è pulito, il cuscino di foglie permette di camminare con passo molto sostenuto, quasi di correre e ci impieghiamo poco più di un’ora per raggiungere il fondo valle. Individuiamo dove incrociano i sentieri, poco sopra la carrareccia di fondo valle c’è uno stazzo, lì, proprio di fronte termina il sentiero 17, o inizia, per chi vuole provare a salire per questa via. Memorizzo l’informazione, potrebbe tornare utile per un altro giro negli Ernici. Il ritorno a Rendinara è per la carrareccia, scende agile, qualche tornante ogni tanto, sfiora il Rio in un tratto in cui va a formare una serie di piccole cascatelle su rocce gonfie di muschio e che merita una sosta e qualche foto, si passa di fronte alla presa idrica che fiotta acqua da sotto la porta per quanta ne straripa e subito dopo di fronte alla fonte Pretestretta e dopo quasi tre chilometri dallo stazzo si infila praticamente nel paese. Gli Ernici, lo ammeto, li ho sottovalutati; sono un gruppo piccolo, ma sono un gioiello di montagne; li ho anche sottovalutati nel programmare l’escursione di oggi e ho dovuto drasticamente rivedere il progetto iniziale. Il Pizzo Deta, il mio primo 2000, è rimasto negli occhi, così pure il monte del Passeggio e il Fragara. Ma quella cresta mi ha stregato, appuntamento solo rimandato e spero per poco. I riferimenti dei sentieri sono quelli riportati sulla carta consultata: ed. S.E.L.C.A n°5 – Monti Ernici e Valle Roveto, 1:25.000, prodotta dalla Camera di Commercio dell’Aquila in collaborazione col CAI sezione di Valle Roveto.